Amoruso: «Quel giorno che la mia Torres umiliò il fantaPalermo»

di Andrea Sini

Dodicimila cuori che rimbombano dentro l’Acquedotto, lo striscione “Fèddizi passà” (fateci passare), il Palermo che viene sepolto dai gol della Torres più bella dell’ultimo ventennio. Luca Amoruso chiude gli occhi e rivede tutto.

25 marzo 2001, dieci anni esatti oggi, Torres-Palermo 3-0.

 

Primo flashback: lui corre impazzito per il campo, Lacrimini gli lucida la scarpa destra con cui ha appena segnato due gol alla capolista miliardaria della serie C1.

«Il Palermo ci fece passare, eccome - sorride oggi Luca Amoruso -. Eravamo una squadra forte e affiatata, arrivammo a quella gara carichi. Non ce n’era per nessuno, poteva finire in goleada».

 

Secondo flashback: «Lo stadio era pieno, stracolmo di gente. La partita me la ricordo bene - dice -, ma l’immagine che ho impressa nella mentre è il muro umano dell’Acquedotto. Un’emozione indimenticabile. L’anno prima c’era stata la promozione in C1 conquistata a Mestre all’ultima giornata, un’altra festa incredibile davanti a una marea di tifosi arrivati da Sassari. Dal punto di vista emotivo questi sono stati i momenti più belli».

 

Dieci anni, ma per tutti sembra un secolo. Per la Torres, che dopo due fallimenti sta ancora provando a ricomporre i cocci della sua storia finita in pezzi. E per Luca Amoruso, che oggi ha solo 36 anni ma ha già smesso di giocare da una vita. «Se penso che la mia carriera si è chiusa appena due anni dopo quella partita, ancora non mi sembra vero - ricorda il fantasista pugliese -. Ci ho pensato, certo. In questi anni ho pensato molto ai se e ai ma. Tutto poteva andare diversamente: potevamo andare in serie B, e io potevo restare a Sassari e fare un’altra carriera».

 

Invece la Torres perse il treno dei playoff per un punto: «La sconfitta di Ascoli alla penultima giornata fu decisiva. Mai vista una sfortuna del genere: finì 2-1, noi prendemmo tre pali e loro segnarono con due autogol. Sono certo che ai playoff non avremmo avuto avversari. Eravamo la squadra più in forma e forse dopo il Palermo eravamo i più forti. Tutto questo in una serie C di livello eccezionale, con giocatori come Cappioli e Buonocore». Andò male anche per Luca Amoruso, che diventò l’uomo-mercato, venne ceduto al Crotone in serie B, ma non riuscì mai a ripetersi su quei livelli. «Ho dovuto fare delle scelte, non per colpa mia, e oggi dico che ho fatto male. Il mio rammarico più grande resta quello di non aver portato la Torres in B. Da là in poi sono andato in calando, mi sono fatto male e non sono riuscito a riprendermi».

 

Un volo finito sul più bello, quando sembrava che Luca Amoruso potesse seguire le orme di suo fratello maggiore Nicola, già allora protagonista in serie A. Luca aveva piedi, testa, fisico e carattere. Era un regista nel senso più antico del termine, ma anche un giocatore moderno. Un numero 10 vero, capace di inserirsi negli spazi, dribblare, dettare il passaggio ma anche trovare l’assist. Micidiale su punizione e dal dischetto, capace di segnare 25 gol in due anni, nonostante fosse affiancato da autentiche bocca da fuoco come Udassi, Langella e (il primo anno) Karasavvidis. «La mia partita più bella? Non fu quella col Palermo: con i rosanero segnai il secondo e terzo gol nella ripresa, ma nel primo tempo non giocai bene - ricorda Amoruso -. Ma quella stagione in C1 è stata fantastica per me e per la squadra. Ricordo il 3-0 sul Catania, con un gol incredibile di Udassi. Battemmo 2-0 il Messina all’Acquedotto e poi anche in casa loro. Forse sono state queste le mie partite migliori». «Avevamo un grande gruppo - aggiunge Amoruso -, con giocatori esperti e giovani intelligenti. Anche chi giocava poco dava il suo contributo. E poi c’era mister Bebo Leonardi, un mito, un grande comunicatore che non ci stava troppo appresso e azzeccava i ruoli di tutti. Anche lui avrebbe meritato la B». Dieci anni dopo la doppietta segnata al Palermo, quel regista dal piede destro fatato ha interessi nel campo immobiliare e segue l’azienda di famiglia a Cerignola. I ricordi però sono vivi. Luca Amoruso riapre gli occhi. «La Torres mi è rimasta nel cuore - dice - le notizie di prima mano me le passano Graziella e Paola, due tifose di Sassari che mi chiamano ancora. Il calcio? Mi interessa, certo, ho appena preso il patentino da allenatore. Chi sa, magari un giorno io e la Torres ci rincontreremo».

© Andrea Sini - 2011 La Nuova Sardegna - 25 marzo 2011
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