Mario Aroca, musica e poesia agli albori della Torres
Ritratto di “Brottu Sarippa”, un grande personaggio dimenticato dalla sua città
di Andrea Sini
Medicina e musica, sport e viaggi, poesia e prosa. Un nome e due pseudonimi per farsi riconoscere, due lingue (l'italiano e il dialetto) per comunicare attraverso le sue opere. Con sullo sfondo un amore coltivato per tutta la vita e mai tradito: quello per la sua città. Mario Aroca, Marius Aper, Brottu Sarippa: un pezzo uno e trino della storia di Sassari, un personaggio unico di cui oggi pochi si ricordano. Tanto che persino le sue opere sono cadute nell'oblio.
Ne sarebbe profondamente ferito, Mario Aroca, sassarese più nell'anima che nel sangue. Nato a Sassari nel 1876 da una famiglia di origine spagnola, seguì presto le orme di suo padre, medico: si laureò così in medicina nell'ateneo turritano, fu interno all'Ospedale civile e per qualche tempo anche assistente universitario. Nel 1903 fu tra i fondatori della Sef Torres, uno dei più attivi. Mettendo a frutto la sua passione per la musica, fu chiamato alla guida della sezione bandistica torresina. Non solo: insieme al poeta Barore Scanu, che scrisse le parole, compose la musica dell'inno sociale. Un vero capolavoro che, inspiegabilmente, oggi è stato completamente dimenticato. Cancellato dalla memoria dei torresini già negli anni Settanta, venne recuperato e suonato all'Acquedotto prima del derby Torres-Tempio del 1998: da quel che si sa, da quel giorno l'inno non è stato mai più proposto in pubblico. Oggi solo pochi fedelissimi e qualche anziano tifoso ne conoscono il testo, quasi nessuno ne ricorda la musica.
Le registrazioni di molte delle marce torresine da lui scritte nel 1903, compreso l'inno sociale, sono oggi custodite dall'Associazione Memoria Storica Torresina. Nel 1907, "spinto da irrequietudine", come scrisse molti anni più tardi, Mario Aroca decise di emigrare. Mise radici a Genova, accettando una proposta di lavoro come medico di bordo su un transatlantico. Così per molti anni girò il mondo, toccando località esotiche di tutti i continenti. Annotò tutto sulle sue esperienze: le sue note di viaggio (in particolare in Africa e Sudamerica) vennero pubblicate su riviste e periodici, firmate con lo pseudonimo Marius Aper, ma queste opere sono oggi purtroppo introvabili. Così come la maggior parte delle sue novelle e delle sue poesie: le liriche "I canti del pellita", le opere di narrativa "Cri cri è immortale" e "Gocce di sangue", e "Poemetti in prosa", sono oggi rarità impossibili da trovare persino nelle biblioteche.
Una volta andato in pensione, si fermò a Genova, dove intanto si era sposato. Nella sua casa sulla riviera ligure passava il tempo scrivendo e curando il giardino. "Coltivo anche la rughìtta", scrisse con un certo orgoglio in un intervento sulla pagina culturale della Nuova Sardegna. Il suo legame con Sassari - e con la Torres - restò fortissimo. Tra gli anni Cinquanta e Sessanta collaborò in maniera costante con La Nuova Sardegna, scrivendo sotto lo pseudonimo di Brottu Sarippa una lunga serie di poesie e sonetti in dialetto. Raccontava con tocco raffinato i colori e i personaggi della Sassari che aveva lasciato tanti anni prima e dove, nel periodo della vecchiaia, tornava quasi ogni estate.
Aveva mantenuto contatti epistolari con un grandissimo della poesia dialettale sassarese, Salvator Ruju-Agniru Canu, ma anche con l'amico fraterno Antonino Diana, co-fondatore della Torres e più tardi artefice del rilancio della società dopo gli anni bui della Seconda guerra mondiale. Significativo il fatto che Mario Aroca, parlando con Diana delle vicende societarie e delle glorie passate, definisse la Torres "me' figliora". Commovente l'aneddoto raccontato nella poesia "A un vecciu torresinu", scritta da Antonino Diana e dedicata proprio a Mario Aroca: nel 1914 la Torres partecipò al prestigioso Concorso di Genova, e quando la comitiva torresina entrò festante in Galleria Mazzini si vide venire incontro, in lacrime, il dottor Mario Aroca, che già viveva nel capoluogo ligure. Per festeggiare lo storico primo posto, a pari merito con l'Andrea Doria, lo stesso "dottor Mario" organizzò una grande festa per i rossoblù dalle parti di Quinto.
Eccone un breve passo:
A un vecciu torresinu
di Antonino Diana
Mezzu securu è guasi passadu
da candu ischrabiunabi in pizzinnia
a tiralasthigu nisciunu ti futtia e a frundia
cabbi n'hai umbè ifasciaddu
Sarippa o Marius Aper sei
ciamaddu candu iscribi cantendi in puisia
"Dotto' Mario" eri allora fintumaddu
e pa marizzia friabi a cassisia
Che pinnecciu acutu ed illistrhriddu
candu la Torres punia li primi passi
un Innu tamanti ha cumpuniddu
la musigga no po' dimintiggassi
nè li parauri di pobaru Barori
ischritti pa la gloria torresina
cun vena du pueta e cun amori
freschi e ciari che l'eba cristhallina
Dezzi e passa... marci cumpunisi
cun mutibi dozzi e pibiosi
e drentu a lu to' cori rimunisi
la Torres di li tempi gloriosi!
Lu quattordhizi Genova z'ha visthi
intra' truinfanti in Galleria Mazzini
e tu, piagnendi, incontru zi vinisthi
era la festha di li Torresini!
In un periodo di piena ispirazione, Mario Aroca scrisse la commediola "Lu Cujubungiu di Zizì - Bozzetto di vita sassarese di fine Ottocento" (La Nuova Sardegna, 18 febbraio 1958) ambientato dalle parte di la Corthi di lu diauru. E poi "Gobburi e pidrissi" (dedicata ad Antonino Diana e dalla quale, con tutta probabilità, il grande cantautore sassarese Ginetto Ruzzetta ha tratto ispirazione per la canzone “Tempi d’allora”), "Cantendi a tempu pessu", "A Agniru Canu - Liggendimi Sassari veccia e noba", "Naddàri di tandu" e tante altre. Pietra miliare dell'attività artistica di Brottu Sarippa, il volume "Luntanu dall'occi...ma drent'a ru cori", una raccolta delle migliori opere dialettali sue e di una altro grande cantore sassarese, "Barori Diegu", ovvero Salvatore Diego Sassu. Quel medico dal naso affilato, perfettamente a suo agio con la penna come con il pentagramma, morì lontano dalla sua Sassari, quasi novantenne, il giorno di capodanno del 1965. "Nelle sue bellissime poesie sassaresi - scrisse alla sua morte La Nuova Sardegna - rivivevano commosse immagini di una Sassari perduta, d'una stagione stupenda che solo l'ispirazione di un poeta autentico poteva ricreare e proporre al sentimento del lettore nuovo". "Sassari - si legge ancora - perde un campione, un altro ancora, del tempo in cui essa era una città felice e attiva, un suo cantore pieno di intelligenza e di brio, un cittadino probo, un esempio altissimo di amore per la propria città coltivato nell'amarezza della nostalgia".
Nella borgata di Ottava c'è oggi una zona in cui le vie portano il nome dei poeti sassaresi. Nella quiete della periferia, in un incrocio tra le villette a un passo dalla campagna, idealmente Brottu Sarippa abbraccia ancora l'amico Barori Diegu. Ma per Mario Aroca, quasi dimenticato dai suoi concittadini, quella strada a lui dedicata è solo l'ultimo sgarbo del destino. Anche qui, infatti, come nella sua casa sul mare di Genova e come in gran parte della sua vita, i suoni del centro storico non arrivano. E Sassari, la sua Sassari, resta sempre troppo in là, oltre l'orizzonte.
© Andrea Sini - 2011 Associazione Memoria Storica Torresina